Oltre un anno dopo il primo round della Conferenza di Berlino sulla Libia, il 23 giugno scorso nella capitale tedesca si sono riuniti i rappresentanti della Libia e una serie di attori internazionali con interessi acquisiti nel paese – tra cui Italia, Russia, Francia, Emirati Arabi Uniti, Stati Uniti, Turchia ed Egitto – per discutere su quali dovranno essere i successivi passi sul sentiero della stabilizzazione del paese nordafricano. La seconda Conferenza di Berlino, che ha seguito il formato del gennaio 2020, potrebbe essere uno step fondamentale nel processo libico dopo più di dieci anni di guerra e di stallo politico. Convocati dal governo tedesco e dalle Nazioni unite, i colloqui si sono concentrati sull’attuazione dei termini dell’accordo sul cessate il fuoco tra le due fazioni in guerra raggiunto lo scorso 23 ottobre a Ginevra e sull’accordo politico, sempre sotto egida Onu, che ha portato alla nascita del Governo di unità nazionale (Gnu) con a capo Abdul Hamid Dbeibah, presente insieme al ministro degli Esteri libico Najla al-Mangoush ai colloqui. Dalle conclusioni di Berlino è emersa una duplice volontà dei partecipanti: sostenere il programma politico che dovrebbe concludersi con le elezioni fissate per il prossimo 24 dicembre e la partenza immediata delle forze e dei mercenari stranieri presenti sul territorio dell’ex colonia italiana. Su quest’ultimo punto, che vede Turchia e Russia interessate in particolar modo, Ankara ha posto una riserva nel testo delle conclusione della Conferenza: secondo i turchi, le loro forze sono presenti in Libia su richiesta del governo di Tripoli.
La situazione sul campo è sicuramente diversa rispetto al primo round di Berlino. La Libia non è più in uno stato di guerra aperta. La presenza degli attori esterni è passata da intervento dichiarato a manovre dietro le quinte. E, rispetto al recente passato, gli Stati Uniti di Joe Biden sembrano essere più interessati alla conclusione positiva della questione libica, in chiave di stabilità regionale e, soprattutto, in relazione alla lotta al terrorismo. Lo dimostra anche la presenza a Berlino del segretario di Stato statunitense Antony Blinken, che dopo la conferenza ha tenuto un bilaterale con il premier libico Dbeibah sugli sviluppi del dossier. Tuttavia, il pericolo di un riaccendersi del conflitto è sempre dietro l’angolo, come ci ricordano gli eventi degli ultimi anni. Dalla caduta di Moammar Gheddafi, molti sono stati i processi politici (elezioni 2012, elezioni 2014, accordo di pace 2015), sostenuti anche a livello internazionale, che sono sfociati in una maggiore polarizzazione del paese per concludersi poi in una guerra senza fine.
Vedere le elezioni di dicembre come acqua santa per le divisioni interne e rinviare alcune riforme strutturali fondamentali, su tutte apparato militare e di sicurezza, non aiuta a risolvere la questione, ma anzi il pericolo è quello di oscurare la continua lotta per il primato da parte dei gruppi armati rivali. Tensioni e conflitti interni stanno aumentando tra le milizie occidentali, per non parlare della rivalità sempre calda tra le milizie occidentali e i gruppi affiliati al feldmaresciallo Khalifa Haftar riunite nel suo Esercito nazionali libico (Lna). Il processo elettorale incontrerà difficoltà evidenti: la diffusa insicurezza in tutto il paese giocherà un ruolo chiave sulla trasparenza e sull’equità dei voti; il modello dominante di clientelismo presente in Libia, darà vita a nuove élite politiche che dovranno fare i conti con le milizie e la loro voglia di potere. L’Onu pressa il Gnu di Tripoli affinché venga rispettata la data del 24 dicembre, ma per rendere concreto tale obiettivo bisogna raggiungere un accordo sulla legge elettorale e sulla base costituzionale. Ad oggi il sentiero è impervio e le differenza di vedute tra Tripoli e la Camera dei rappresentanti a Tobruk rende il tutto ancora più complicato.
La comunità internazionale dovrà dedicare maggiore attenzione a supportare e a creare una road map dettagliata, attuabile e gestita dai libici stessi per il settore della sicurezza dell’intero paese, in modo da prevenire o risolvere qualsiasi elemento di instabilità che possa accendersi da qui a dicembre. L’indifferenza su tale punto ha contribuito in passato alla politicizzazione dei gruppi armati libici che ha portato alla guerra civile. La necessaria riforma del settore della sicurezza nella Libia post-elezioni, e l’istituzionalizzazione dei precetti governativi di controllo, insieme alla responsabilità, allo stato di diritto e al rispetto dei diritti umani, è fondamentale per una stabilizzazione duratura del paese nordafricano. Un’autorità esecutiva unificata è un obiettivo necessario, ma al contempo bisogna lavorare sugli altri elementi fondamentali necessari alla costruzione di un paese sicuro e stabile. Il pericolo evidente è sempre quello di una spartizione di fatto del paese. La continuità nella divisione militare giustifica la presenza di truppe e mercenari stranieri e complica il processo di smantellamento delle milizie locali. La comunità internazionale continua a chiedere la rimozione di truppe e mercenari stranieri dalla Libia, ma al contempo dovrebbe ugualmente concentrarsi sulla fine della divisione delle forze militari libiche. Le elezioni hanno bisogno di un ambiente sicuro per produrre risultati duraturi che possano davvero salvare la Libia. Unire le forze armate orientali e occidentali in un unico apparato potrebbe essere la via giusta per la creazione di questo ambiente sicuro.
Un primo passo è continuare la deescalation e la smilitarizzazione all’interno della regione centrale, lungo l’asse Sirte-al Jufra. Un maggiore impegno diplomatico degli Stati Uniti, con Russia e Turchia, potrebbe portare a un ridispiegamento graduale e responsabile e all’eventuale ritiro delle loro forze. Qui è vitale una pressione di Washington anche sugli Emirati Arabi Uniti (Eau): gli Emirati sono stati un importante sostenitore militare di Haftar, hanno pilotato droni armati per suo conto e presumibilmente stanno ancora pagando gli stipendi di migliaia di mercenari russi del cosiddetto Gruppo Wagner così come i combattenti siriani e sudanesi che hanno assicurato la sua resistenza sul suolo libico. Eppure l’interferenza di Abu Dhabi in Libia è spesso sfuggita al controllo della comunità internazionale. Per modellare le prospettive di colloqui e unificazione tra le forze orientali e occidentali, gli Stati Uniti dovrebbero sollecitare Russia, Egitto ed Eau, i sostenitori esterni di lunga data dell’uomo forte della Cirenaica, a iniziare a pianificare la transizione dell’Lna all’interno di un apparato militare nazionale e non regionale, magari guidato da un’altra figura, che possa essere politicamente più accettabile per la regione occidentale.
Altro punto importante uscito da Berlino è quello relativo alle riforme economiche che segue in ordine di importanza quello delle elezioni e della sicurezza. Tra gli argomenti affrontati: la Central Bank of Libya (Cbl), il fondo Libyan investment authority (Lia), la società petrolifera National oil company (Noc) e la legge di bilancio. Su quest’ultimo punto, le conclusioni della Conferenza esortano i parlamentari libici ad approvare il budget statale, usato negli ultimi mesi come arma di ricatto nei confronti del governo di Dbeibah. Sulle istituzioni finanziarie l’obiettivo è quello di una riunificazione tra ovest ed est dopo le attività parallele portate avanti dalle due fazioni rivali in questi ultimi anni. Si rendono necessarie, inoltre, una risposta e un’apertura alle istanze di tutte e tre le regioni libiche, per quanto queste possano risultare complesse. Centrale il ruolo svolto dalla Noc: a Berlino viene sottolineata l’importanza della compagnia petrolifera e la sua necessaria indipendenza e apoliticità. Il petrolio è la principale fonte di ricchezza libica e deve essere usato per far ripartire il paese e la sua economia. Dallo sfruttamento e dalla gestione del petrolio passa la stabilizzazione della Libia, anche se risulterà importante nell’immediato futuro volgere lo sguardo alla transizione energetica e alla diversificazione dell’economia libica.
Ad oggi è chiara una certa divergenza tra la realtà sul terreno libico e i documenti diplomatici fuoriusciti dai vari appuntamenti come la Conferenza di Berlino del 23 giugno. La transizione guidata dal governo di Dbeibah e le prossimo elezioni vanno sostenute, ma al contempo bisogna essere realistici e comprendere che “l’unificazione della Libia” non può essere decisa a Berlino o a Ginevra. Queste ultime settimane ci hanno mostrato ancora come la situazione nel paese nordafricano sia instabile: la disputa sulla scelta del ministro della Difesa; gli scontri tra le varie milizie che ricordano la parcellizzazione del territorio (pochi giorni fa violenti scontri sono avvenuti a Bengasi tra le tribù Awaqir e Al Jawazi causando la morte di cinque persone); lo stesso Haftar che continua per la sua strada e non sembra intenzionato a cedere su nessun punto (nonostante le chiare difficoltà): lo scorso 20 giugno forze militari affiliate al feldmaresciallo avrebbero chiuso un valico del confine libico-algerino dichiarando la zona militarizzata e vietandone qualsiasi passaggio; ancora, la sontuosa parata militare organizzata a Bengasi il 29 maggio in occasione del settimo anniversario dell’operazione Dignity. Per gli osservatori internazionali, Haftar non si preoccupa affatto di costruire la pace e la stabilità nel paese nordafricano poiché il suo unico obiettivo è sempre stato quello di prendere il potere. Nel frattempo, i membri del Foro di dialogo politico libico (Lpdf) si sono incontrati nuovamente, sotto gli auspici delle Nazioni Unite, per discutere la proposta di bozza costituzionale per mettere nero su bianco le “regole” delle elezioni.
Già in passato, dopo il primo round a Berlino, si era parlato di un successo diplomatico internazionale, anche se il cessate il fuoco è stato raggiunto solo nei mesi successivi e soprattutto dopo l’intervento militare di Ankara a supporto dell’allora governo guidato da Fayez al-Serraj che ha sancito la vittoria sul campo contro l’assedio di Haftar alla capitale libica. Proprio per questo ora i turchi rivendicano sostanzialmente la posizione che hanno “conquistato” in Libia. Nella prima occasione la Conferenza ha svolto il ruolo di piattaforma di dialogo, ma poi la partita si è risolta sul campo con l’intervento di attori determinanti. Oggi, un ruolo determinante dovrebbe essere svolto dai paesi europei – data anche la loro vicinanza geografica – uniti verso un deciso coordinamento sulla questione libica. Il sostegno di Washington potrebbe solo facilitarne la risoluzione.
Mario Savina